2009/11/18

Sulla competenza (statale o regionale) a disciplinare i requisiti per l’esercizio delle professioni


(Corte costituzionale, sentenza n. 271/2009 - Avv. Dario Immordino)


Quale che sia il settore in cui una determinata professione si esplichi, la determinazione dei principi fondamentali della relativa disciplina spetta sempre allo Stato, nell'esercizio della propria competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost..



In tal senso, la giurisprudenza costituzionale in diverse occasioni ha avuto modo di chiarire che «l'attribuzione della materia delle “professioni” alla competenza dello Stato corrisponde all'esigenza di una disciplina uniforme sul piano nazionale che sia coerente anche con i principi dell'ordinamento comunitario, e, in ragione di ciò, prescinde dal settore nel quale l'attività professionale si esplica ».



Ne deriva che, anche con riguardo alle professioni turistiche, compete allo Stato l'individuazione dei profili professionali e dei requisiti necessari per il relativo esercizio,.



Di conseguenza deve ritenersi illegittima la disciplina regionale che istituisce una nuova professione di «animatore turistico» secondo una definizione che non trova alcun riscontro nella vigente legislazione nazionale, né in particolare nella legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo), la quale, all'art. 7, comma 5, definisce «professioni turistiche quelle che organizzano e forniscono servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti».



Né vale a rendere legittime simili disposizioni la circostanza che la figura di «animatore turistico» fosse prevista – in termini, peraltro, non identici a quelli della legge regionale impugnata - espressamente dall'art. 11, comma 11, della legge 17 maggio 1983, n. 217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica), giacché si tratta di norma abrogata dalla legge n. 135 del 2001 (art. 11, comma 6). Anche perché alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale, motivo per cui il limite sopra enunciato, funzionerebbe anche ove tale norma fosse tuttora vigente perché alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006 nonché n. 57 del 2007).



Sulla base di queste argomentazioni la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del 2000, come introdotto dall'art. 3, comma 2, della legge regionale n. 7 del 2008, cui consegue, come naturale corollario, la caducazione dell'art. 3, comma 7, della legge regionale n. 4 del 2000, come sostituito dall'art. 4 della legge regionale n. 7 del 2008, contenente l'indicazione dei requisiti specifici prescritti per l'esercizio delle attività di animatore turistico.



Con la stessa pronuncia il Giudice delle leggi ha altresì dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 3, commi 1, lettera b), e 10 della legge regionale n. 4 del 2000, come sostituito dall'art. 4 della legge regionale n. 7 del 2008, che riconosce alla Regione la competenza a stabilire, con propria deliberazione, requisiti ulteriori per l'esercizio delle professioni in questione, rispetto a quelli stabiliti dallo Stato.



In questo caso la censura poggia sulla considerazione che tali disposizioni ampliano la competenza della regione di definire «le modalità attuative per il conseguimento dell'idoneità all'esercizio delle attività di cui alla presente legge» (di per sé non contraria alla Costituzione) sino a comprendervi la previsione di requisiti per l'esercizio della professione, in violazione dei principi che prevedono la competenza dello Stato.



Entrambe le disposizioni eccedono quindi la competenza regionale in tema di professioni di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., violando il principio fondamentale che riserva allo Stato non solo l'individuazione delle figure professionali, ma anche la definizione e la disciplina dei requisiti e dei titoli necessari per l'esercizio delle professioni stesse. Ciò perché, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale «l'indicazione di specifici requisiti per l'esercizio delle professioni, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola la competenza statale, risolvendosi in una indebita ingerenza in un settore (quello della disciplina dei titoli necessari per l'esercizio di una professione), costituente principio fondamentale della materia e, quindi, di competenza statale, ai sensi anche dell'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2006» (sentenze n. 153 del 2006 e n. 57 del 2007).

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